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Costume e SocietàLetteratura

Il rientro di Tirso e i dubbi sulla “nomisma”

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri XCV


Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

Il rientro a Locri di Tirso fu un trionfo. La notizia della cattura di Koiro si era diffusa in un baleno. Medma non era stata presa, come voleva l’Assemblea dei Mille, ma la cattura del re era uno di quei colpi che avevano abbattuto il morale dei Siculi. Poco importava che l’assedio fosse stato levato. I Locresi, al loro solito, con l’astuzia avevano dato un duro colpo. Non entrò subito nella polis, Tirso. Aspettò Tisaferne, che gliene fu grato. E insieme, con le falangi provate ma orgogliose e con re Koiro su un carro legato e insanguinato per le ferite riportate per il trascinamento, entrarono tra un tripudio di gente. L’Assemblea aspettò nell’Agorà l’esercito; aspettò di vedere i suoi strateghi e il re Koiro.
Anche Zaleuco aspettò il vincitore per complimentarsi, anche se inghiottiva amaro. La sua idea di lanciare, come Tissaferne, in una scaramuccia senza senso e senza gloria duratura, gli era sembrata geniale. Ma geniale era stata la trovata di Tirso, che aveva escogitato il modo di rispettare i limiti posti dall’Assemblea e nello stesso tempo porsi come alternativa al prudente Zaleuco. La mente del legislatore si arrovellava. Occorreva limitare la fama e il potere di Tirso, ma senza creare un mito e un martire. E non era facile.
Mentre era assorto nei suoi pensieri, si avvicinò Gorgia, che aveva riconosciuto il Magistrato dalla benda sull’occhio e, dopo aver fatto un cenno di saluto con la testa, iniziò a parlare.
«Legislatore – disse – io sono venuto qui non solo per la morte di Ilone. Certo, oggi vedo che la sua morte è stata vendicata. Ma a Siracusa sono preoccupati da quando Ilone è venuto e ha fatto strani discorsi. Diceva che Locri doveva armarsi e che la popolazione non era in grado di sostenere da sola il peso della guerra. Domandava dove poteva trovare truppe mercenarie e diceva che anche Locri doveva munirsi del conio di danaro per poterli pagare. A Siracusa si teme che Locri miri a espandersi creando una situazione pericolosa. Non temiamo che possiate portare i vostri confini verso il mare Tirreno, ma una guerra a Crotone e a Taranto danneggerebbe gli interessi anche di Siracusa, che con Crotone ha rapporti commerciali.»
Ora Zaleuco sembrava inebetito. Ma solo per un istante. La sua mente era già un vulcano e cominciò a collegare i fatti. Gorgia era sicuramente estraneo agli intrighi di Ilone, diversamente non avrebbe parlato di cose che a Locri erano sconosciute. Guardò il Siracusano e chiese:
«Conosci Talete, capitano della nave Polifemo?»
«Certo – rispose Gorgia, – il crotonese è molto conosciuto a Siracusa.»
La notizia fece aggrottare subito la fronte al Magistrato che, ripresosi, chiese ancora:
«Nell’ultimo viaggio a Locri, Talete ha portato una piccola cassa, si dice per Ilone, che era già morto. Sai cosa potesse contenere?»
E Gorgia prontamente:
«Ilone negli ultimi tempi era preoccupato per Locri. Temeva un assedio della città da un momento all’altro e trasformava tutto in danaro. Per le sue merci voleva solo monete di oro, argento e bronzo, come se dovesse scappare da Locri. Di Talete, Ilone aveva fiducia. Può essere che, per una o più partite di legname e pece, abbia chiesto il pagamento in nomisma e utilizzato Talete per la riscossione.»
«Dimmi Gorgia, io non ho mai visto la merce di cui tu mi parli. Come è il conio?»
«Saprai che da tempo i Lidi hanno introdotto il conio. Essi hanno usato metalli preziosi e rari, comparandoli al valore dei beni. Hanno forma rotonda e piccola, ma di buon spessore. In Grecia si usa oro, argento e bronzo e sulle facce delle nomisma è raffigurato il volto del Magistrato, dello stratega o del Tiranno che governa la polis. Spesso vengono raffigurati gli Dei ed i loro simboli, un toro un cavallo. Questo da una parte. Dall’altro lato della moneta vi è solo la punzonatura. Tu sai che da sempre i più abbienti sono soggetti alla liturgia, le cui spese affrontavano con i beni prodotti. Ora, si usa contribuire con il nomisma che è l’equivalente del bene. Anche gli Spartani, da qualche tempo alla guerra contribuiscono portando con sé non solo derrate e vino, ma anche qualche piccolo contributo in danaro. Purtroppo – continuò Gorgia senza interrompersi mai – si è preso anche l’abitudine a porre ai più abbienti tasse, che servono anche a pagare i soldati che vanno in guerra. Ora si combatte per danaro, non per la polis.»
Zaleuco annuì. Ora i discorsi di Tirso erano chiari. Chiaro l’esercito permanente; chiaro il riferimento al commercio. Era chiaro che Tirso, Ilone e Tissaferne facevano parte di un disegno comune, interrotto solo dalla morte di Ilone. Il siracusano era, per così dire, la cassa della triade. Con il danaro si poteva comprare un esercito di mercenari. Il potere non più ai migliori, ma a chi lo poteva comprare. La mente di tutto era il vulcanico Tirso. Tissaferne era solo un soldataccio buono per la guerra e anche per il lavoro sporco. Ilone, con tutte le sue contraddizioni, era solo un ricco disgraziato che pensava di accattivarsi Euridice con l’effetto del potere. Già, il potere che poteva rendere agli occhi della gente interessante anche un corpo disgraziato e repellente. Ilone era stato fermato da chi lo aveva ucciso. Tissaferne non era un vero e proprio pericolo. Tirso, invece, doveva essere fermato e disonorato. Non bisognava fare del giovane un eroe e una vittima. Dietro gli orfici si nascondeva a Locri una setta numerosa e ben collegata. La riunione presieduta da Senocrito, pensò Zaleuco, era solo una copertura. Nessuno poteva contare sull’appoggio del poeta ad un disegno così ambizioso. Senocrito era poeta e filosofo, una persona sulla quale Locri poteva sempre contare. Aveva un debole mai nascosto per Tirso, ma il suo era un legame di intelligenza, di assonanza, forse anche carnale, ma sicuramente filosofico e poetico. Locri e la sua giovane costituzione erano in pericolo, pensò il Magistrato, che vide i suoi incubi prendere forma nel peggiore dei modi. L’occhio mancante cominciò a prudere. Era infastidito da prurito.
Oltretutto la manifestazione fisica di qualcosa che non c’era. La mano sinistra andò all’occhio e la mente andò di impulso teneramente a suo figlio. Suo figlio, pensò il Legislatore. Chissà se suo figlio aveva le stesse sensazioni.
Chissà se anche lui sentiva il fastidio di un prurito nell’orbita vuota, ogni volta che era preoccupato? A casa, pensò il Magistrato. Bisogna andare a casa. Riflettere e vedere il da farsi.
A quel punto vide Tirso con la sua armatura e a cavallo. Lo vide con una lancia che puntava verso due opliti che con le mani legate e con le gambe strascicanti camminavano davanti. Tirso si fermò davanti a Zaleuco e, tronfio di vanagloria, apostrofò il Magistrato:
«Questi due codardi sono per te, Zaleuco. Di uomini così, Locri non ha bisogno.»
Zaleuco fece cenno con la testa e un sorriso forzato per la vittoria dell’uomo.

Foto: lezionieuropa.it


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