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Costume e SocietàLetteratura

La divisione dei poteri tra interesse nazionale e visione europea

Le riflessioni del centro studi

Di Stefania Mantelli – Avvocato Foro di Catanzaro

Suona di grande attualità, oggi, il pensiero del costituzionalista Giovanni Bognetti che, già allora, ci avvertiva della deriva in corso. Il costituzionalista, esperto anche di diritto comparato, vedeva, già all’epoca negli Stati occidentali, un’alterazione della tradizionale divisione dei poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) a fondamento dello Stato liberale, frutto delle continue invasioni di campo tra giustizia e politica e della commistione di funzioni tra esecutivo e legislativo. Riteneva, infatti, che in Occidente fosse subentrato lo Stato democratico e sociale, chiamato a tutelare non solo i diritti di libertà, ma anche i diritti politici e quelli sociali dell’individuo, per cui bisognava prendere atto che in concreto si era venuta a creare una più articolata divisione dei poteri, divenuti in concreto almeno cinque: potere governante, potere legislativo, Pubblica Amministrazione, potere giudiziario e Suprema Corte.
Se nella divisione classica liberale la centralità apparteneva al potere legislativo, oramai essa spetta al potere governante. La pubblica amministrazione si è così estesa da divenire un potere a sé che necessita, quindi, di una autonomia dall’esecutivo. Il diritto del singolo non appartiene più ad uno stabile sistema di punti fermi poiché non si tutela il diritto certo, ma quello equo che in un quadro normativo in continuo mutamento non garantisce stabilità. In tutto ciò le Corti Costituzionali hanno assunto le forme di un potere con forti implicazioni di carattere politico, per cui bisognerebbe rivederne la composizione perché essa diventi indipendente dall’esecutivo e dal legislativo in modo che possa rappresentare e meglio tutelare le minoranze. Il giurista, sul solco di quelle analisi, nel successivo studio a più mani Verso una nuova Costituzione siauspicava una riforma della nostra Carta costituzionale, nel senso di rendere effettivo il potere di indirizzo politico del Governo, ma anche di ridare centralità al potere di controllo del Parlamento, con un corpo elettorale forte e capace di cambiare la squadra di Governo ove necessario, nonché atta a garantire alla Corte costituzionale la funzione di sorveglianza, quale custode dei diritti fondamentali. Bisognerebbe rileggere i classici della filosofia del diritto e ripercorrere il pensiero di quei giuristi che si sono soffermati su tali temi per comprendere che la divisione dei poteri è garanzia di uno Stato equo e giusto, garante dei diritti fondamentali e argine alle derive autoritarie. Risuona, quindi, l’attualità di queste costruzioni di pensiero poiché esprimono concetti senza tempo, applicabili a ogni contesto socio-politico, e quindi anche oggi, in un momento storico in cui si è vincolati alla politica dell’Unione Europea e alle scelte economiche dalla stessa stabilite, di frequente confliggenti con gli interessi nazionali e con l’economia reale, e spesso contrastanti con la cultura giuridica e la storia dei singoli Paesi che ne fanno parte. Oggi, senza infingimenti, è di tutta evidenza che i principali fattori di condizionamento di una equilibrata divisione dei poteri, al netto dei limiti e delle fragilità delle Costituzioni nazionali, sono rinvenibili innanzitutto nella crisi dei partiti politici (che non sono più rappresentativi delle categorie sociali storicamente di riferimento) e nell’inadeguatezza del sistema elettorale (che non soddisfa il principio di rappresentanza politica), per le evidenti ricadute sull’esercizio del potere dei vari organi dello Stato, divenendo sempre più la normalità, la formazione di governi di coalizione che, con progressive cessioni di quote di sovranità, portano avanti decisioni già assunte altrove e sempre più rispondenti a interessi sovranazionali di lobby economico-finanziarie, oramai insinuatesi nei gangli delle Istituzioni europee.

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 30/06/2023

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