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Attualità

Attacco alla libertà d’informazione: sfida per la democrazia italiana

Di Mariateresa Fragomeni – Direzione Nazionale del PD

«Questa maggioranza ha proprio un conto aperto con la libertà d’informazione». Dopo gli emendamenti presentati in commissione Giustizia alla Camera dal capogruppo di Fratelli d’Italia Gianni Berrino che inaspriscono le pene per il reato di diffamazione a mezzo stampa, reintroducendo la pena detentiva da uno a tre anni (con l’aumento fino al 50% se l’offeso è innocente), non si può non condividere la presa di posizione dei senatori del Partito Democratico Alfredo Bazoli, Anna Rossomando, Franco Mirabelli e Walter Verini che annunciano un’opposizione durissima contro quello che, giustamente, definiscono «un retaggio barbaro e un segnale pesantissimo» che ci riporta indietro almeno di un secolo e non tiene conto delle bocciature di ogni proposta tesa a punire la diffamazione col carcere da parte della Corte Costituzionale prima e della Corte Europea dei Diritti Umani poi, giusto tre anni fa.
Una volontà, quella espressa da Berrino, che oltre ad aver sollevato perplessità in alcuni esponenti della coalizione di maggioranza, non risponde ad alcun criterio di equità e proporzionalità tra il reato commesso e la punizione che viene inflitta. Le pene pecuniarie che vengono comminate in caso di sentenza passata in giudicato (già fortemente aumentate nel nuovo testo di legge) costituiscono già, a mio modo di vedere, un deciso deterrente a ogni volontà di perpetrare quelle che lo stesso (nuovo) articolo 13bis definisce “condotte reiterate e coordinate, preordinate ad arrecare un grave pregiudizio all’altrui reputazione” con il mezzo della stampa. Specie in un contesto, come quello italiano, interessato da un progressivo e ineluttabile processo di precarizzazione del mestiere di giornalista, che fa il paio con un indice di lettura tra i più bassi d’Europa e che ora deve fare i conti con la proposta di inasprire le pene.
E se la libera informazione è il principale termometro della tenuta di un sistema democratico, colpire chi resiste a fare questo mestiere con retribuzioni mediamente basse e scarse garanzie occupazionali, dopo essersi costruito credibilità e autorevolezza sotto le forche caudine di un duro percorso di formazione professionale, significa soffocare il principale spazio di libera espressione rimasto in Italia.
Il governo, anziché pensare alla tutela dei tanti giornalisti vittima di intimidazioni da parte dei vari poteri criminali che non sopportano approfindimenti e inchieste libere, si impegna a reprimere e a inasprire pene.
Le manifestazioni di giornalisti di radio, televisione, carta stampata e agenzie di stampa, del resto, vengono organizzate con cadenza quasi quotidiana. Per rivendicazioni retributive e contrattuali, certo. Ma anche contro i tentativi di concentrazione di testate e agenzie in un sostanziale regime di oligopolio, come mostra il caso Antonio e Giampaolo Angelucci.
Tutto ciò accade negli anni del paradosso dell’impoverimento e depotenziamento dell’informazione professionale, al quale fanno da contraltare i crescenti investimenti nelle macchine del fango sui social network, capaci di confezionare notizie farlocche accessibili a un pubblico sempre meno in grado di selezionare la credibilità delle informazioni, e quindi molto più vulnerabile che in passato e incline a sostenere sovranisti e populisti che propinano una disinformazione propagandistica a buon mercato su smartphone e computer.
Insomma, chi alimenta le Bestie sui social, ora cerca l’en-plein soffocando quel che rimane della libera (e professionale) informazione.
Questo non è tollerabile in uno stato europeo, democratico e civile.
Occorre una grande mobilitazione a difesa dei diritti democratici sanciti dalla Costituzione, ormai palesemente a rischio per l’iniziativa costante della destra di governo.
Non si devono sottovalutare segnali inequivocabili e pericolosi per la libertà nel nostro Paese.

Redazione

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