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Costume e SocietàLetteratura

Ai Locresi non è dato possedere né schiavi né schiave

La Repubblica dei Locresi di Epizefiri

Di Giuseppe Pellegrino

È una norma rivoluzionaria. Per capirne la portata occorre fare riferimento all’importanza economica della schiavitù in Grecia. Corrado Barbagallo, con il suo lavoro, soprattutto Il tramonto di una civiltà, o la fine della Grecia Antica, ha dato un grande contributo in tal senso. L’opera in due tomi parte proprio dall’importanza storica che ha avuto la schiavitù in Grecia.
L’autore parte dal presupposto che una società di uomini regolarmente costituita deve risolvere per prima cosa il problema della produzione materiale. E continua osservando che proprio questo è stato l’inputdella grandezza della Grecia, per poi divenire la causa della sua decadenza. Così chiosa lo storico:“Or bene, il modo antico, e quindi anche la Grecia, poggiarono sulla pietra angolare della schiavitù. Lo schiavo, o, meglio, il lavoratore non libero, fu al tempo stesso lo strumento e il motore animato dell’agricoltura, dell’industria e del commercio antico”. Anche i liberi certo lavoravano, ma in minor misura e con una versatilità minore. Lo specchio di queste osservazioni è contenuto in una tabella con cui si contrappone il rapporto numerico tra popolazione libera e schiavi. I calcoli sono del di Karl Julius Beloch.
Così la tabella che segue:


Superficie in Km2Popolazione liberaSchiavipopol. relat. per km2Prop. fra lib. E schiavi
Argolide (Insieme con Egina o Corinto)4185165.000175.000781:1,09
Attica2647135.000100.000891,35:1
Megaride47020.00020.000881:1
Beozia2580100.00050.000582:1
Eubea3592,340.00020.000172:1
Cicladi2701,680.00050.000481,60:1
Corcira770,630.00040.000911:1,33

La tabella è agghiacciante. Vi sono rapporti tra liberi e schiavi che in Argolide, porta il rapporto di 1,09 per ogni uomo libero. E la democratica Attica ha uno schiavo ogni 1,35. Spesso il rapporto è 1/1 come nella Megaride, ma mai meno di uno schiavo per due uomini liberi. La schiavitù “come anima della produzione, del commercio e del benessere.”
Va da sé che questa massa di schiavi trovava impiego nella proprietà terriera, ma anche nelle miniere. Esistevano anche i servi della gleba, che come condizione umana non era molto diversa da quella di uno schiavo. Anche la Locride, sia la Opuntia che quella del Golfo di Crissa, avevano schiavi, e in gran numero. Eppure di questa condizione di servitù vi era chi la trovava negativa per ragioni economiche. E chi segnalava che “il lavoro servile è un lavoro da carnefici” (lo diceva Lucio Giunio Moderato Columella in senso ironico) intendeva che i carnefici erano gli schiavi, perché si lamentava: “Gli schiavi danneggiano assai la coltivazione: locano i buoi al primo venuto, li nutrono male, lavorano la terra senza intelligenza; mettono in conto più sementi che non ne seminano; trascurano il prodotto del suolo; il grano che hanno portato sull’aia per batterlo, o lo rubano o lo lasciano rubare; il grano, già riposto, non lo danno fedelmente in conto; di guisa che, per colpa del dirigente e dei suoi schiavi, la proprietà va in rovina”.Ma non basta, così si accanisce nel prosieguo: “Se il padrone non sorveglia attivamente i lavori, accade quello stesso che in un esercito durante l’assenza del generale; niuno più adempie al suo dovere… Gli schiavi si abbandonano a ogni genere di eccessi…, pensano meno a coltivare che a devastare…”A fronte di una simile situazione, la normativa locrese non è solo rivoluzionaria, ma va decontestualizzata rispetto alla storia della Grecia. Certo, l’origine servile dei locresi è stata derminante. Pensare che degli schiavi potessero a loro volta, diventati uomini liberi in virtù di una norma micenea già richiamata quando si parla del patronimico che le donne davano ai figli, avere degli schiavi, cozzava contro l’onestà intellettuale di Zaleuco. Gli stessi partheni a Taranto ne hanno recepito la portata rivoluzionaria, tanto da aver contribuito non solo alla sottomissione dei siculi, ma di essere diventati a loro volta parte integrante della società, che permetteva (la Democrazia di IV tipo di Aristotele) anche ai figli illegittimi, come lo erano i figli dei locresi, come lo erano i partheni, di poter aspirare alle massime cariche pubbliche.

Foto: storicang.it

Redazione

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