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Attualità

La realtà multietnica e le sfide della convivenza

Pensieri, parole, opere… e opinioni


Edil Merici

Non me ne vogliano i lettori che si aspettavano un aggiornamento critico sulle ultime novità che la Locride ci ha riservato, ma oggi sento il dovere di parlare di un tema sì di stringente attualità ma che pur avendo certamente a che fare con il sistema Paese, poco ha invece a che fare (vivaddio) con il nostro territorio. Per centrare l’argomento siamo costretti a spostarci di più di 3/4 di Stivale, fino ad arrivare a 1.300 km della nostra soleggiata costa ionica e, per la precisione, a Borgomanero, appena 40 km più a nord della Novara che mi ha dato i natali e visto crescere.
Fornita questa indicazione di base, immagino che molti di voi avranno già capito dove voglio andare a parare, anche perché la notizia ha fortunatamente ingenerato quella dose di indignato scalpore che ci fa comprendere che non tutto il Paese sia da condannare. Eppure il fatto che, nel 2024, mi ritrovi costretto a realizzare un editoriale su questo fenomeno non può non farmi domandare una volta di più che esempio stiamo dando ai nostri figli.
Ma andiamo ai fatti: nel fine settimana la cuoca 28enne di una pizzeria del paesone di 21.700 anime a un tiro di schioppo dal Lago d’Orta si sente dire a muso duro da una cliente «Non mangio cibo preparato da te». La sua colpa? Indossare l’Hijiab, caratteristica visibile che ha evidentemente indispettito il concentrato di intelligenza ariana che aveva poco prima varcato la soglia del locale, mandando le sinapsi in corto circuito quel tanto da farle incespicare la lingua in una serie di suoni disarticolati che non hanno ragion d’essere. E non hanno ragion d’essere non solo perché non si può assolutamente sentire che, in un mondo civile e globalizzato come pretendiamo che sia il nostro stiamo ancora a guardare di chi siano le mani che ci offrono un servizio, ma anche perché Aisha, la ragazza vittima di questo rigurgito d’intolleranza, è italianissima, nata e cresciuta a Borgomanero esattamente come la signora che ritiene di essere al centro dell’universo solo perché la vita le ha arriso facendola spuntare come un fungo in mezzo al crocevia di case immerso nella nebbia che è fiera di chiamare casa e ritiene di essere superiore a una giovane che potrebbe essere sua figlia solo perché sfoggia liberamente la sua fluente chioma.
«Non avrei mai pensato che qualcuno potesse dirmi una frase del genere» ha detto Aisha ai colleghi del Corriere della Sera.
«Ci sono rimasta male – prosegue la giovane. – Uso il velo per la mia religione ma è anche una forma di tutela igienica per chi svolge il mio lavoro, a contatto con gli alimenti. Di certo non sarà questo episodio a scoraggiarmi. Il mio lavoro mi piace. Sono qui da maggio. Certo che quando ti trovi di fronte a una situazione di questo genere non sai come reagire. Io ho preferito il silenzio.»
Una condotta di comportamento, me lo si conceda, che da sola è sufficiente a dimostrare chi delle due donne protagoniste di questa assurda storia abbia tutto il diritto di camminare a testa alta.
«La signora se n’è andata – ha giunto la 28enne. – Mi piacerebbe che riflettesse sull’errore che ha commesso, che capisse che il pregiudizio porta sempre a comportamenti sbagliati», esattamente come sbagliati sono gli atteggiamenti di chi, come prosegue a raccontare la ragazza, «quando vado al supermercato o per strada, forse proprio perché indosso l’Hijab, tengono più stretta la borsa o il portafoglio, come se avessero incrociato un pericolo.»
Non riesco proprio a comprendere da dove possa derivare questa repulsione del velo, tanto più che nelle regioni del nord, complice l’oggettiva maggiore facilità con cui si riesce a trovare lavoro, sono tantissime le famiglie musulmane residenti giunte ormai alla seconda o persino alla terza generazione. Eppure piemontesi, lombardi, veneti (ma potrei aggiungere i residenti di tante altre regioni della Penisola) continuano a non abituarsi a una realtà che è multietnica da ormai almeno 30 anni.
Il timore del diverso è meccanismo di difesa naturale, retaggio di centinaia di migliaia di anni di una vita in natura che certamente non è stata semplice, eppure, se è vero com’è vero che, a differenza dei nostri animali domestici, non siamo guidati dal solo istinto, non mi spiego per quale ragione sia tanto difficile cercare di usare il nostro raziocinio anche per superare barriere mentali che non sono assolutamente accettabili e che, lo ripeterò fino alla nausea, ci fanno meritare solo l’estinzione.
Quando, mi domando, la smetteremo di sentire storie del genere? Soprattutto notizie in cui si rifiuta anche solo un contatto indiretto con una persona di una fede diversa come se mangiare una pizza fatta da un marocchino comportasse una contaminazione peggiore di quella del Covid-19? Qui non si tratta più di un problema di pelle, di un problema di lingua né tanto meno di un problema di fede, perché la Chiesa sta facendo molto per incentivare il dialogo con le altre professioni religiose, eppure il popolo dei fedeli rimane sempre chiuso in sé stesso…
La mia speranza, a questo punto, è che sia un problema generazionale e che, scusatemi se sono così schietto, una volta che anche l’ultimo boomer sarà chiuso in una cassa, chi erediterà il mondo sarà in grado di gettarsi alle spalle questo tipo di comportamenti.
Ma, temo, arrivati a quel punto avremo già sbloccato altri tipi di intolleranze e altre forme di idiozia…

Foto: corriere.it

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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