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Costume e SocietàLetteratura

Il divieto di ne bis in idem nella fase esecutiva

Le riflessioni del Centro Studi

Edil Merici

Di Giuseppe Gervasi – Avvocato del Foro di Locri

Gli articoli 630 e 669 del Codice di Procedura Penale sembrerebbero precludere, almeno a prima vista, la piena applicazione in fase esecutiva del principio convenzionale del divieto di ne bis in idem, nella misura in cui non contemplano anche il decreto di archiviazione tra i provvedimenti definitivi capaci di generare un contrasto tra giudicati. Da una parte, dunque, il disposto convenzionale in coerenza con l’interpretazione accolta dalla Corte di Strasburgo che considera rilevante il divieto di ne bis in idem rispetto a ogni pronuncia definitiva, siccome adottata da un organo che amministra la giustizia, nei termini indicati dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo e fatti propri incidentalmente dalla Corte di Cassazione; dall’altra la vigente disciplina legislativa che preclude una diretta applicazione di una siffatta elevazione della portata del decreto di archiviazione. Un’impasseche necessita di un intervento additivo della Corte Costituzionale in grado di colmare l’incompatibilità che si è venuta a creare tra l’ordinamento italiano rispetto all’applicazione del principio convenzionale del divieto di ne bis in idem nell’interpretazione fatta propria dalla CEDU. L’intervento del giudice delle leggi si rende necessario per un duplice ordine di ragioni: per la Corte di Strasburgo l’obbligo di conformarsi alle proprie sentenze definitive, sancito a carico delle parti contraenti dall’art. 46, paragrafo 1, della CEDU, comporta anche l’impegno degli Stati contraenti a permettere la riapertura dei processi, su richiesta dell’interessato, quante volte essa appaia necessaria ai fini della restitutio in integrum in favore del medesimo, nel caso di violazione delle garanzie riconosciute dalla Convenzione, particolarmente in tema di equo processo; al giudice è consentito solo interpretare la norma conformemente al dettato costituzionale e gli è preclusa ogni forma di sindacato della legge e ogni forma di annullamento o disapplicazione, anche laddove la norma dovesse apparire incompatibile con la Costituzione o con le decisioni della CEDU, risultando riservato alla sola Corte Costituzionale il dovere di valutare la compatibilità costituzionale di una legge.
Se, dunque, al singolo giudice non risulta concedibile un’interpretazione degli art. 630 e 699 del CPP diversa da quella strettamente letterale, tale da ricomprendere anche il decreto di archiviazione tra i provvedimenti definitivi siccome adottato da un organo che amministra la giustizia secondo l’interpretazione logico-sistematica fatta propria dalla CEDU e da una parte della giurisprudenza di legittimità, l’unica strada percorribile appare dunque quella di una decisione additiva della Corte Costituzionale, che intervenga sugli artt. 630 e 669 del CPP per eliminare una evidente disparità di trattamento giudiziario del cittadino italiano. La prima questione di legittimità costituzionale deve concernere necessariamente l’art. 630, comma 1 lettera a) del CPP nella parte in cui non si prevede che la revisione possa essere richiesta anche qualora i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli già stabiliti in un decreto di archiviazione pronunciato in via definitiva nei confronti della stessa persona e per il medesimo fatto, qualora la condanna scaturisca da un procedimento penale in cui non siano state osservate le condizioni di procedibilità poste dall’art. 414 del CPP. La seconda questione di legittimità costituzionale deve concernere necessariamente l’art. 669, c. 8 del CPP nella parte in cui non si prevede di ordinare anche la revoca della sentenza di condanna e l’esecuzione del decreto di archiviazione, qualora i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli già stabiliti in un decreto di archiviazione pronunciato in via definitiva nei confronti della stessa persona e per il medesimo fatto, qualora la condanna scaturisca da un procedimento penale in cui non siano state osservate le condizioni di procedibilità poste dall’art. 414 c.p.p.

Foto: freepik.com

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 30/06/2023

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