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Costume e SocietàLetteratura

L’erosione del concetto di sovranità dello Stato

Le riflessioni del centro studi


Edil Merici

Di L. Fantò, P. Galluzzo, M. Giorgi, C. Mazzone e F. Musitano – Funzionari addetti all’Ufficio per il Processo, Sezione Penale dibattimento del Tribunale di Locri

“La persuasione di non trovare un palmo di terra che perdoni ai veri delitti, sarebbe un mezzo efficacissimo per prevenirli” (Dei delitti e delle pene, Cesare Beccaria). Nelle parole di Beccaria è possibile ritrovare la funzione primaria della cooperazione giudiziaria internazionale, intesa come strumento di prevenzione generale, basato sulla creazione di una visione condivisa della repressione del crimine nella quale, in nessun luogo, possano residuare spazi d’impunità. La visione filosofica, però, si scontra con la pratica: ogni comunità-Stato reputa socialmente riprovevoli alcuni fatti umani, piuttosto che altri, in base a stratificazioni culturali secolari, alla propria evoluzione sociale ed economica e al grado di istruzione della maggioranza dei consociati; elementi, questi, che vengono sintetizzati nell’indirizzo politico che muove il Legislatore. La scelta politica dei fatti punibili rappresenta uno dei caratteri del concetto di Sovranità – intesa come capacità giuridica di imperio dello Stato su tutte le persone fisiche e giuridiche che si trovino nel suo ambito territoriale – alla quale è direttamente collegato, in termini consequenziali, il principio di doppia incriminazione sul quale di fonda l’estradizione. Tant’è che la storia degli strumenti di cooperazione giudiziaria internazionale è stata sempre caratterizzata dal ruolo assunto dal profilo politico nella repressione dei crimini e, nel corso del tempo, lo strumento estradizionale è stato modellato in base all’indirizzo politico dell’Esecutivo nelle relazioni internazionali con gli altri Stati. Infatti, il concetto di cooperazione era parametrato a una visione dualista che si rifletteva (e si riflette) nelle prerogative del Ministro della Giustizia a cui spettavano considerazioni politiche non tanto sulla valutazione delle condizioni dell’estradizione, quanto sull’esecuzione del provvedimento di estradizione.
La crisi del principio di sovranità è maturata soprattutto a seguito dei cambiamenti economici e sociali della seconda metà del ‘900 che hanno assunto dimensioni ancor più significative nello specifico ambito dell’Unione europea ove, in ragione della progressiva eliminazione delle frontiere nazionali tra gli Stati membri, è stata presto avvertita la necessità di addivenire a una speculare eliminazione delle frontiere giudiziarie (attraverso l’elaborazione di strumenti di cooperazione tra autorità nazionali) in grado di assicurare un’efficace prevenzione e repressione degli illeciti penali. L’elaborazione di un nuovo concetto di spazio costituiva già di per sé un’interessante novità: esso esprimeva, infatti, l’intenzione di addivenire alla realizzazione di un’unità giuridica europea, comportante una nuova idea di sovranità caratterizzata da un alto livello di fiducia e di cooperazione reciproca tra gli Stati dell’Unione Europea (confiance mutuelle). Per raggiungere lo scopo, però, serviva uno strumento capace di armonizzare le varie legislazioni tanto elastico da mantenere, comunque, gli impliciti sovranismi che permanevano nell’Unione. Così, venne enucleato il principio di reciprocità che nella sua forma primigenia fu applicato in ambito economico e commerciale. Solo con il Consiglio Europeo di Tampere l’Unione si pose come obiettivo la creazione di un sistema di libera circolazione delle decisioni in materia penale nel quale il principio di reciprocità divenne strumento facilitatore di tale processo. Il reciproco riconoscimento delle decisioni penali si è presentato, in effetti, come necessaria misura compensativa delle conseguenze negative della libera circolazione delle persone, nonché, conseguentemente, come soluzione al problema dell’individuazione di efficaci meccanismi di cooperazione tra autorità giudiziarie, attraverso il quale giungere alla realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia comunitario.
Il contesto di mutua fiducia all’interno dello spazio penale europeo è divenuto terreno fertile per l’elaborazione di un sistema di cooperazione tra autorità giudiziarie quasi automatico e semplificato, fondato sul principio del reciproco riconoscimento che implica, da un lato, l’abbandono del modello estradizionale basato sulla richiesta e, dall’altro, l’adozione di un sistema di reciproca fiducia basato sull’ordine. La prima concretizzazione del principio di reciprocità nel settore del diritto penale è il Mandato di Arresto Europeo che introduce un nuovo meccanismo semplificato di cooperazione internazionale sostitutivo, nello spazio Unione Europea, del farraginoso strumento estradizionale con un sistema di consegna tra le autorità giudiziarie delle persone condannate o sospettate, ai fini dell’esecuzione di sentenze o dell’esercizio di azioni penali. Sull’altare del principio di reciprocità viene sacrificata la mediazione politica (tipica dell’estradizione) che lascia il posto alla immediata e automatica relazione tra le autorità giudiziarie. Il rapporto, infatti, si svolge unicamente tra autorità giudiziarie, cioè una autorità giudiziaria emittente (competente ad emettere il mandato in base alla legge dello Stato membro di appartenenza) e una autorità giudiziaria dell’esecuzione (competente dell’esecuzione del mandato).
Nel sistema del MAE, però, residua un portato tipico dello strumento estradizionale, ossia il principio (o garanzia) di specialità basato sull’idea di limitare l’autorità giudiziaria richiedente ai fatti per i quali il soggetto è stato consegnato. Tra il principio di reciprocità e quello di specialità esiste un rapporto di regola a eccezione nel quale la specialità rappresenta da un lato un limite alla reciprocità e, dall’altro, una garanzia per la persona consegnata poiché è posto il divieto di perseguire o restringere la libertà personale per fatti anteriori o diversi da quelli per cui è stata richiesta l’esecuzione del mandato. In realtà, il mantenimento della clausola di specialità consente di rilevare l’inadeguatezza del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie come centro di gravità attorno al quale far orbitare lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia comunitario. Il principio di specialità apre, dunque, le porte a una critica sulla mancata creazione di uno spazio comune europeo in materia di sicurezza e di giustizia (la cui genesi risale al Trattato di Amsterdam del 1977) che non ha mai assunto alcun carattere politico, essendo rimasto relegato esclusivamente all’aspetto tecnico-giudiziario.
Emerge, infatti, la vera natura del detto principio che rimane, nella sua naturale nudità, solo come uno strumento per non affrontare due difficoltà alla base del percorso di crescita dell’Unione Europea, ossia l’assenza di una vera Costituzione Europea e l’incapacità politica di procedere all’armonizzazione delle normative penali con strumenti legislativi. Entrambi i problemi nascono da una matrice unica: la malcelata incertezza nella volontà di creare i cosiddetti Stati Uniti d’Europa ovvero la resistenza sovranista verso un nuovo Ente territoriale Europeo d’impronta federale. Ne consegue, concludendo, che uno spazio europeo comune presuppone, logicamente, l’abbandono totale del concetto di sovranità nazionale e il recepimento di legislazioni condivise in tema di repressione dei reati capace di creare “la persuasione di non trovare un palmo di terra che perdoni ai veri delitti”.

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 30/06/2023


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