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Costume e SocietàLetteratura

Il concetto di disponibilità e l’interposizione

Breve storia della Confisca


Edil Merici

Di Enzo Nobile e Francesco Donato Iacopino

Il legislatore, al fine di far fronte alle macchinazioni, anche giuridiche, che gli indiziati di appartenenza alla criminalità organizzata ponevano in essere per celare la rintracciabilità dei patrimoni dagli stessi illecitamente accumulati, ha cercato di adottare delle contromisure adottando anche per il reato in trattazione il concetto di disponibilità, concepito per la prima volta con l’emanazione dell’articolo 2 ter della Legge 575/65.
Detto concetto di disponibilità, in senso tecnico, è stato utilizzato dal legislatore al fine di poter comprendere tra i beni passibili di sequestro e confisca, oltre a quelli formalmente intestati al proposto, anche quelli di cui questi “può disporre direttamente o indirettamente”e per i quali si ha motivo di ritenere che rappresentino il prodotto o il reimpiego di attività illecite, ovvero quando risultino sproporzionati rispetto al reddito dichiarato o alle attività svolte.
Il generico utilizzo, in senso a-tecnico, del temine disponibilità, ha provocato non poche incertezze nell’ambito di applicazione della norma lasciando, a chi era preposto alla sua concreta applicazione, ampi margini di discrezionalità.
La dottrina, quanto la giurisprudenza, considerate le difficoltà che gli operatori del diritto hanno avuto nell’utilizzo concreto di tale concetto di disponibilità, si attivò al fine di ricercare sia dei criteri di accertamento della disponibilità, sia la corretta definizione giuridica di un termine che mal si concilia col principio di tassatività della legge penale, il cui rispetto impone che i contenuti delle norme siano sufficientemente specificati.
Tali sforzi ermeneutici hanno portato dottrina e giurisprudenza a concordare, ovviamente non senza distinguo, che sul piano fenomenico tale concetto coincida con la disponibilità di fatto del bene.
Disponibilità che si ha allorquando, prescindendo dall’esistenza di un rapporto giuridico formale (di tipo reale od obbligatorio) il soggetto si comporta rispetto alla cosa uti dominus, ossia come se fosse il proprietario.
Costoro, in buona sostanza, mutuando dal diritto civile, tendono a far coincidere la disponibilità col concetto di possesso civilistico (tra i tanti: Sezione VI nº 40.175 del 14/03/2007 e Sez. II, nº 13.360 del 03/02/2011 della Cassazione Penale).
Tanto per definire in termini pratici il concetto di disponibilità, introdotto dalla legge Rognoni-La Torre, questo può essere raffigurato come un Giano bifronte, del quale uno dei due volti è rappresentato dalla disponibilità diretta, mentre l’altro da quella indiretta.
Il primo dei due volti, ossia la disponibilità diretta, raffigura l’immagine del soggetto che, oltre ad atteggiarsi come il proprietario in realtà è tale sulla scorta di un titolo giuridico che consente, in via immediata o quasi, di ricondurre a lui un determinato bene.
Il secondo di tali volti, invece, raffigura la disponibilità indiretta, ovvero l’immagine del soggetto che, in assenza di un titolo, esercita il suo dominio sul bene, godendone e/o determinandone l’uso o la destinazione.
Ai fini dell’accertamento della disponibilità è richiesta un’indagine patrimoniale che, nel caso della disponibilità diretta, si concretizza nella consultazione dei pubblici registri dei beni mobili ed immobili, dei registri delle imprese, dei conti correnti e simili.
Invece, quando l’accertamento riguarda la disponibilità indiretta, in cui la sostanza prevale sulla forma, tale indagine patrimoniale presuppone il riscontro della sussistenza del legame uti dominus tra proposto e bene, che sul piano meramente fattuale è simile al possesso, senza però che, ai fini del suo riscontro, incidano eventuali legami con figure giuridico formali, essendo, invece, necessario e sufficiente che il prevenuto utilizzi il bene come se fosse suo o, comunque, rientri nella sua sfera di interessi economici (In tal senso: Cass. Pen. del 03/12/1993 e del 14/02/1997 e  sentenza del 06/03/1986 della Corte di Appello di Reggio Calabria).
Il concetto di disponibilità (diretta e indiretta), quindi, ricomprende al suo interno: il diritto di proprietà; i diritti reali di godimento; i beni fittiziamente intestati a altri e, secondo alcuni, addirittura le situazioni di fatto basate non sulla fittizietà, bensì sulla mera soggezione del terzo.
L’omessa definizione del concetto di disponibilità e la non delimitazione dei suoi ambiti di operatività, da parte del legislatore, secondo Cassano, fanno sorgere il dubbio che questi, nella lotta ai patrimoni illeciti della criminalità organizzata, abbia preferito farne coincidere il contenuto con la mera disponibilità di fatto, al fine di glissare i delicati problemi derivanti dal mandato senza rappresentanza, dal negozio fiduciario e dalla simulazione.
In sostanza, la dottrina è divisa in due diverse correnti, l’una, che considera la disponibilità come una sorta di surrogato del diritto di proprietà, con la conseguenza che sul piano probatorio il giudice ne deve, perlomeno, presumere la sussistenza; l’altra, invece, che, qualificando la disponibilità come elemento principe, avente autonoma capacità probatoria, ritiene non necessaria la prova, anche presuntiva, dell’esistenza di un titolo, sia pure fittizio.
La giurisprudenza, da parte sua, ha fatto proprio tale secondo orientamento, nonostante da più parti si obietti che così applicato il concetto di disponibilità travolga i diritti del terzo proprietario, contrastando in tal modo sia con la ratio della norma, che è e deve rimanere quello di perseguire chi agevola e chi accumula illecitamente capitali, sia col principio della responsabilità penale personale.
Onde meglio comprendere le obiezioni alla corrente di pensiero e alla giurisprudenza che scinde il concetto di disponibilità dal titolo, si porta l’esempio del terzo che consente l’utilizzo di un suo bene al soggetto indagato per reati di criminalità organizzata, non per sua libera e autonoma scelta, ma solamente per soggezione, per il timore di ritorsioni.
Orbene, costui, in virtù dell’applicazione di tale concetto di disponibilità, subirebbe una doppia vessazione, la prima, impostagli dall’effettivo utilizzatore, la seconda, e più grave, consistente nella definitiva sottrazione del bene, la subirebbe da parte di chi, istituzionalmente, ha l’obbligo ed il dovere di tutelare i suoi diritti personali e patrimoniali.
Pertanto, al fine di evitare paradossi e violazioni di principi costituzionali è assolutamente auspicabile che il concetto di disponibilità non venga generalizzato a tutti i casi in cui sussiste una qualche relazione tra il prevenuto e un bene intestato ad altri, ma trovi concreta applicazione, esclusivamente in quei casi in cui il bene rientri effettivamente nella sfera patrimoniale del proposto.
Tale limitazione al concetto di disponibilità, oltre che auspicabile, è addirittura necessaria se si considerano gli ulteriori rischi di sottrazione cui sono sottoposti i beni appartenenti a terzi incolpevoli.
Rischi derivanti, tra l’altro, dalle presunzioni contenute nel Codice Antimafia, le quali impongono al terzo, onde evitare quella che da più parti viene definita come un’espropriazione senza indennizzo, l’onere di dimostrare la sua buona fede, consistente nell’assenza di collegamento tra il bene o diritto e l’altrui condotta delittuosa, oppure, laddove sia ravvisabile un simile collegamento, di dimostrare il suo affidamento incolpevole, ossia l’esistenza di una situazione apparente idonea a rendere scusabile l’ignoranza o la carenza di diligenza.

Foto: studiogargani.it


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