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Costume e Società

Noi, i salvati, vi ricordiamo di non lasciar morire la memoria

Di Cristina Caminiti

È il 1º settembre 1939. La Germania nazista di Adolf Hitler invade la Polonia. Obiettivo: l’annessione di Danzica. Francia e Gran Bretagna si oppongono a sostegno della città, ma nonostante la resistenza dei polacchi contro l’attacco tedesco, Varsavia si inginocchia al Reich dopo un violento bombardamento. È l’inizio della Seconda Guerra Mondiale.
I meccanismi della soluzione finale non erano ancora stati delineati (sarà la conferenza di Wannsee del 1942 a determinare il destino degli ebrei), tuttavia l’operazione di pulizia etnica non tarda ad arrivare: subito dopo la presa della Polonia furono creati ghetti in cui i cittadini ebrei vennero confinati. Zone all’interno delle stesse città, delimitate da filo spinato e successivamente da muri in cui gli ebrei vivevano in condizioni disumane a causa del sovraffollamento, della miseria e le condizioni igieniche. Dei quattrocento ghetti creati in Polonia il più grande fu quello di Varsavia.
A 80 anni dalla rivolta del ghetto, il Caffè Letterario Mario La Cava, dedica una serata a quel pezzo di storia che ha segnato le sorti del mondo intero. Gli ospiti Tonino Nocera, pubblicista e saggista e Roque Pugliese, delegato Calabria Comunità Ebraica di Napoli, discutono insieme al pubblico della testimonianza di Marek Edelman, autore del libro Il ghetto di Varsavia lotta, edito da Giuntina Editore, casa editrice che si occupa di pubblicare testi di cultura ebraica.
Edelman è stato uno dei comandati attivi durante la rivolta del ghetto nel 1943 e riesce a salvarsi fuggendo insieme ad altri attraverso la rete fognaria. Nel 1945 pubblica questo libricino in cui racconta le condizioni di vita degli ebrei all’interno del ghetto tra gli anni 1940/1942. In occasione del compleanno di Hitler, il generale Heinrich Himmler decide di effettuare un’operazione di annientamento definitivo del ghetto. Tuttavia, le SS si trovano a far fronte alla resistenza degli ebrei guidati e sostenuti dall’Organizzazione Ebraica Combattente, il cui comandante in seconda era proprio il giovanissimo Edelman, già militante nell’Unione Generale dei Lavoratori Ebrei. La resistenza era formata da già martoriati giovani, uomini e donne, debilitati dalla fame e dalla miseria, ma che a testa alta tentano in ogni modo di respingere i nazisti già autori delle prime deportazioni. La resistenza riesce a prendere il controllo del ghetto e a impedire parte delle deportazioni, ma nel mese di maggio le munizioni e le forze cessano di esistere e i nazisti hanno il sopravvento. Edelman riesce a fuggire, il fisico stanco abbandona il luogo, ma la mente rimane radicata a quei momenti.
Il ricordo si addossa il peso della storia, gli occhi osservano eternamente la distruzione dell’essere umano. Lo strazio di bambini mendicanti, malati, privati di sorrisi, rimane prepotentemente attaccata alle pagine del suo piccolo libro.
Così la memoria diviene ancora una volta il centro del pensiero, a distanza non solo di ottant’anni, ma di millenni di storia ebraica. Quello stesso popolo che attraversò il mar Rosso, che fece sue le parole del Dio di Mosè e che lottò contro la persecuzione, oggi porta con sé il compito più importante dell’essere umano: ricordare che ogni generazione ha la responsabilità delle proprie azioni, che ogni singolo individuo deve necessariamente trarre lezione dalla storia passata, la stessa che Ciceronedefinì“testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità.”


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