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Costume e SocietàLetteratura

Cronaca di una vendetta

La tela del ragno

Di Francesco Cesare Strangio

Dalle informazioni in loro possesso risultava che il numero tre stava facendo delle cure per un problema alla schiena, gli fu programmata la morte attraverso una puntura che gli avrebbe procurato l’arresto cardiaco.
Agli altri cinque fu riservata una fine meno complessa: un colpo di revolver alla tempia e, dopo, lo scioglimento del corpo nell’acido.
Il programma fu valutato e rivalutato, quando ritenne che tutto fosse perfetto, Fabrizio telefonò in Italia e, otto ore dopo, partirono due specialisti in autobombe, un chimico e dieci sicari esperti nell’uso delle armi.
Il loro ingresso in Slovacchia avvenne gradualmente in tre giorni. Passarono la frontiera con dei camion attrezzati per il contrabbando e la loro presenza non fu né registrata né segnalata. In via cautelativa furono loro forniti documenti magistralmente contraffatti in cui era riportata tutt’altra cittadinanza e non quella italiana. Una volta che ognuno prese la propria posizione, rimasero in attesa di disposizioni. La sera del primo sabato di dicembre, la neve scendeva lenta e copiosa rattristendo lo scenario del paesaggio. Quella particolare condizione di colore rattristò il cuore di Aquilino: pensava all’amico Serafino, della cui innocenza era follemente convinto.
In quella concomitanza temporale ebbe inizio l’operazione status quo.
Gli spostamenti delle cellule di morte avvennero in auto guidate da persone di grandissima fiducia del fratello di Bobbo. Nello stesso istante fu eseguita la sentenza di morte dei cinque uomini della cosca dei trafficanti di droga. I cadaveri furono chiusi in un sacco di plastica e portati in un capannone in cui era pronta una cisterna di acido nella quale furono calate le vittime: pochi minuti di gorgoglio del liquido e tutto si dissolse nel nulla eterno.
Nel tardo pomeriggio toccò al numero tre, che si era recato al centro di fisioterapia per le cure dei dolori lancinanti alla schiena. Nell’attesa dell’imminente arrivo dell’obiettivo, un infiltrato aveva sostituito il contenuto della fiala. Praticata l’infiltrazione del farmaco, due minuti dopo il soggetto cessò di vivere a causa di sopraggiunto arresto cardiaco.
Il night era immerso in un alito di musica rilassante sulle cui note aleggiava la lussuria. A dominare la scena erano le donne e l’alcol.
Il chimico si avvicinò al bancone del bar e si fece servire un bicchiere da mezzo litro, vistosamente colorato, di Coca Cola, e poi fece ritorno al tavolino in cui era seduto l’altro uomo che lo accompagnava nella missione di morte. Nessuno fece caso ai due sicari, giacché era del tutto naturale il via vai delle persone diverse dai clienti abituali.
Casualmente, in un altro tavolino a poca distanza da quello presso il quale si erano seduti i due sicari italiani, stava seduto il numero due dell’organizzazione: era in compagnia di due guardaspalle e quattro donne che se la spassavano allegramente.
Il chimico, dopo aver bevuto un sorso della Coca Cola, prese dalla tasca destra della sua giacca delle compresse di cianuro e, senza farsi vedere dagli altri, le lasciò cadere dentro al bicchiere che conteneva la bevanda. Il tempo che le compresse si sciogliessero e il chimico partì in direzione dell’obiettivo.
L’uomo di spalla del chimico si allertò, pronto a intervenire se si fosse verificata qualche discrepanza nell’azione del compagno: non potevano andar via da quel locale se il numero due non avesse preso la via che porta verso la soglia dell’Ade.
Il chimico, facendo finta d’inciampare, riversò addosso alla vittima l’intero contenuto del bicchiere di plastica da mezzolitro. Seguirono momenti di elevata tensione, l’uomo di appoggio aveva il dito sul grilletto della Luger che portava nella tasca del cappotto, pronto a intervenire, ma la cosa finì con un paio di spintoni e delle colorite parolacce. Un paio di minuti dopo, la vittima iniziò a manifestare difficoltà nel respirare, i tre si alzarono e si avviarono verso l’uscita sostenendo il mal capitato.
Erano arrivati a poche centinaia di metri dal pronto soccorso quando l’uomo, con un rantolo, esalò l’ultimo respiro; ebbe così fine il suo viaggio terreno. Ai medici non restò altro che costatare l’avvenuto decesso.
I due sicari rimasero al proprio posto e continuarono come se nulla fosse accaduto.
Il defunto fu trasferito all’obitorio dell’ospedale civile di Košice. I due guardaspalle avvertirono il capo dell’organizzazione dell’avvenuto decesso del suo vice e questi, a sua volta, informò i parenti della vittima.
Il capo, prima di uscire, chiamò i soliti amici che abitualmente gli facevano da scorta durante i suoi spostamenti. Erano trascorsi da poco dieci minuti quando il campanello della villa rapì la sua attenzione: erano arrivati i tre uomini di scorta. A duecento metri dall’ingresso della residenza del capo, due uomini a bordo di un’auto guardavano chi entrava e chi usciva dalla villa; uno dei due uomini era l’esperto di esplosivi arrivato dall’Italia. Le quattro persone, una volta guadagnata l’auto, varcarono il cancello della villa diretti verso l’ospedale civile di Košice. L’auto non aveva percorso neppure trenta metri che un radiocomando irradiò il suo segnale di morte: il T4 nell’utilitaria parcheggiata fece il resto.

Continua…

Foto: stylo24.it


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