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Costume e SocietàLetteratura

Una dissertazione sul fato

La tela del ragno


GRF

Di Francesco Cesare Strangio

Ricevuto l’invito a trattenersi per pranzo, Serafino guardò l’orologio e si rese conto che mancava poco per mezzogiorno, di conseguenza non ebbe altra scelta che accettare.
La signora, prima di andare a messa, aveva preparato del tacchino al forno. Non doveva fare altro che riaccendere il forno e lasciarlo cuocere per un quarto d’ora circa per poi servirlo con insalata di pomodori e lattuga fresca.
La padrona di casa rimuginò molto su quanto esposto dal commensale e si rese conto che aveva portato alla loro attenzione un progetto che non poteva non avere successo. D’altro canto si trattava di un prodotto che riguardava lo stomaco e, come dicevano i romani, “Al popolo devi dare panem et circenses, nient’altro.”
Durante il pasto, il loro disquisire ebbe come argomento esclusivamente, a parte qualche breve deviazione che andava fuori tema, l’organizzazione della nuova attività imprenditoriale.
Alla domanda posta dalla signora sulla somma di denaro necessario a far partire il sistema produttivo, Serafino, dopo una breve riflessione, rispose: «È difficile quantificare quanto denaro sia necessario per tirare su l’azienda. Per poterlo stabilire è necessario andare sul posto e poi si potrà sapere con esattezza la somma.»
Nel sentire “andare sul posto” la padrona di casa obiettò rimarcando che il marito era appena arrivato dalla Cina. Spazientito, Aquilino ribatté: «Amore mio, hai perfettamente ragione su quanto dici, il problema sta che il tempo non lascia tempo. Queste sono idee che vanno verificate subito o mai più. Se poi non si ha voglia di fare niente, basta rimanere tranquilli e beati seduti in casa con un bel paio di pantofole ai piedi e al resto ci pensa Dio. Capisco perfettamente che l’accaduto di Parigi ti abbia scossa, ma per evitare i rischi è necessario che ognuno stia a casa e non esca neppure per andare a messa. In ogni caso, è il fato, Signore dell’umana dimensione, a determinare i passi degli uomini.»
In realtà Aquilino non credeva al fato, poiché lo riteneva un’invenzione dei vinti, ma considerava gli eventi come una naturale conseguenza della casualità. Aveva una sua particolare filosofia dell’essere e del tempo. Considerava la stessa esistenza dell’universo immersa dentro una grande bolla temporale in cui lo spazio e il tempo, interagendo, determinano il percorso degli eventi finendo, per lo più, per strutturare la dimensione dei paradossi. L’uomo, in quanto parte dell’universo, lo considerava una particella qualunque del sistema. Lo stesso libero arbitrio, a suo parere, non sarebbe altro che la conseguenza della casualità degli eventi.
A sostegno di quanto stava pensando gli tornò alla mente la storia di un suo compaesano: la notte la mamma aveva sognato la morte del figlio. Considerò il sogno come un brutto presagio e ritenne opportuno non fare uscire il figlio di casa. Lì per lì, la decisione di non farlo uscire sembrò la più sensata. Una madre travagliata dal dubbio, quale scelta poteva avere se non quella di fare rimanere il figlio in casa? Poteva mai immaginare di trovare la sua creatura sul letto morto a causa del solaio, dal quale si era staccato l’intonaco? Il crollo fu la conseguenza di una lenta e lunga infiltrazione d’acqua che determinò l’ossidazione del ferro delle nervature, facendolo aumentare di volume con il conseguente distacco del calcestruzzo che ricopriva le nervature stesse. Il crollo dell’intonaco colpì il figlio alla testa, uccidendolo.
Quello era uno dei tanti ricordi che Aquilino custodiva nei meandri imperscrutabili della mente.
Se quella mattina il figlio, anziché rimanere a casa per paura del sogno della madre, fosse uscito, può anche darsi che il calcestruzzo sarebbe caduto e un elemento di quel segmento del tempo avrebbe fatto il suo corso e non si sarebbe incontrato con il figlio di quella povera donna. Così come può anche darsi che altri elementi avrebbero coinciso con il tempo e il percorso del ragazzo. L’unica differenza per il ragazzo sarebbe stata di morire all’aria aperta.
Aquilino era convinto che fosse un madornale errore di pensiero ritenere il destino iscritto nella dimensione del premeditato, perché ciò equivarrebbe a identificarlo come un Dio impiccione con il solo scopo di determinare la storia umana. La sua conclusione fu che “ogni cosa segue la legge della casualità”; pertant, il caso è da ritenersi il supremo imperatore del nostro universo.
Era la domenica del 15 di giugno, ricorreva l’anniversario del loro matrimonio e, per l’occasione aprirono una bottiglia di champagne e brindarono a mille di quei giorni. Preso il caffè, riordinarono i pensieri e ripresero il discorso dall’inizio. Rifecero tutti i conti dalla a alla z, analizzarono tutte le possibili declinazioni: comunque la mettevano, il progetto generava dati positivi: era evidente che l’amico Serafino avesse concepito un progetto a dir poco, geniale. Spinto dall’euforia, Aquilino confessò ai presenti che se il progetto fosse andato come previsto, in Slovacchia avrebbe costruito per sé una villa da 1.000 m².

Continua…

Foto: renucioboscolodotcom.wordpress.com


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