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Costume e SocietàLetteratura

Ciò di cui aveva bisogno Natalina

Наталина - Solo due mesi d’amore


Edil Merici

Di Bruno Siciliano

⚠️ ATTENZIONE!
Scorri in fondo all’articolo per ascoltare questo capitolo del romanzo letto dalla viva voce di Bruno Siciliano!

«Mi togli quest’ago? Dovrei andare in bagno.»
Eseguii e lei mise a terra il suo piedino da cenerentola per recarsi in bagno, ma fu un attimo e si ritrovò distesa a terra.
«Sei troppo debole. Abbi pazienza, ti ci porto io, in bagno.»
Così la presi in braccio, la feci sedere sulla tazza, uscii e chiusi dietro di me la porta. Passò più di un quarto d’ora.
«Mi aiuti?» disse uscendo dal bagno.
La feci appoggiare a me. S’era lavata e adesso profumava del mio dopobarba che sulla sua pelle era diventato sublime.
«Prendi dei soldi e comprami degli slip domattina, per favore, ho bisogno anche di altre cose. Poi domani ti dirò che cosa.»
Quindi si avvicinò ancora un po’ e mi stampò un bacio sulla guancia e mi disse: «Grazie anche a nome di Lara.»
“E mo’ chi è Lara?” pensai.
«È la mia bambina che deve nascere tra due mesi, è una femmina e si chiamerà Lara» mi anticipo Natalina notando evidentemente la mia espressione dubbiosa.
Con orgoglio, mi disse tutto in un fiato come leggesse i miei pensieri, mentre i suoi occhi luccicavano di gioia.
Lara. Mi piaceva questo nome, aveva buon gusto la piccola.
La rimisi a letto con una delicatezza che stavo scoprendo solo in quel momento.
«Sono stanca, fammi dormire un altro poco.»
Non risposi nulla e uscii dalla stanza.
Tornai in cucina e accesi la TV, che si mise a spiegarmi come fare un arrosto di tacchino arrotolato. Guardavo l’apparecchio ma non riuscivo a togliere dalla mia mente gli occhi di Natalina, così grandi e penetranti e tristi che si riempirono di gioia quando mi parlavano di Lara. Cosa aveva portato una ragazzina minuta e fragile a fare una rapina in banca? Non avevo intenzione di chiederle nulla.
Di sua spontanea volontà, sicuramente, entro qualche giorno mi avrebbe raccontato tutto.
Di nuovo, da occidente, venne la notte che ammantò le statue del corso, le strade, le piccole vie e gli uomini, le loro miserie e le piccole gioie e le cose e le bestie.
Odiavo dormire sulla poltrona, ma l’alba di un nuovo livido giorno aveva salutato il mio povero corpo abbracciato a un cuscino e accartocciato sulla poltrona.
Prima di mettere la solita cialda nella macchinetta andai a vedere come stava la mia malatina.
Oddio, non c’era!
La flebo era staccata e il letto disfatto. Cercai per la casa, quindi vidi la luce del bagno accesa e l’ombra di lei stagliata sul plexiglas della cabina della doccia. Ringraziai mentalmente quel Padreterno che in questi ultimi giorni avevo pregato senza convinzione e attesi in cucina.
“Mamma mia, quanto sei bella! – pensai al suo apparire. – E quanto sei piccola.”
I capelli bagnati le conferivano un’aria da pulcino spennato e i suoi occhioni, che a volte viravano al blu profondo delle mie notti più buie, sembravano chiedermi ancora aiuto.
«Buon giorno, patata – le dissi con un sorriso. – Vieni, siediti qua che intanto ti preparo un cappuccino.»
Lei obbedì continuando ad asciugarsi e senza dire una parola.
«Perché si chiama Lara?» le chiesi con un sorriso.
«Perché è un nome bello. Senti quanto è dolce?»
«Che cosa è successo?» le chiesi spegnendo il mio sorriso e guardandole il faccino tenero e delicato.
«Cosa vuoi che ti racconti? È successa la vita, tutto qua. Ho amato la persona sbagliata dopo essere scappata dalla fame e dalla miseria. Sono cose che immagino che già sai… E poi abbiamo avuto bisogno di soldi. Lui non ha mai voluto trovarsi un lavoro serio e i soldi non bastavano mai, Io non mi sono voluta prostituire e abbiamo avuto questa bella idea.»
Distolse solo per un attimo il suo sguardo e, dopo una pausa, mi chiese ancora: «È morto, vero?»
Io non risposi e le versai il cappuccino nella tazza che aveva davanti.
Due lacrimoni le scorsero sulla guancia che lei asciugò con un veloce gesto della mano.
«Adesso io e Lara siamo davvero soli. Che faccio?»
«Intanto puoi restare qua» risposi istintivamente mentre mi mordevo la lingua pensando di averle appena detto la cosa più stupida che potevo.
Lei tuffò le labbra nella tazza piena di cappuccino per poi allontanarle subito per guardarmi in faccia.
Io non sostenni il suo sguardo e mi alzai dalla sedia per fare un altro caffè. L’avrei voluta abbracciare. Sembrava un cerbiattino impaurito. Non era sicura di me, delle mie intenzioni, ma io le avrei voluto dire: «Adesso starai qua con me, dove vuoi andare?»
Invece le domandai stupidamente: «Com’è il cappuccino?»
«È buono – mi ripose – come piace a me, è dolce e con tanta schiuma»
Era di questo che aveva bisogno. Di cose buone, semplici. Ma specialmente di amore.
«Cosa hai intenzione di fare, adesso?» disse lei all’improvviso e la frase mi colpì come una frustata.
«Cosa vuoi che facciamo? – le feci eco. – Ti continuo a curare! Avresti bisogno di un medico. Io non ne capisco nulla e non vorrei che ci fossero conseguenze…»
«Non vorrai denunciarmi?» mi chiese ancora.
La guardai sorridendole per rassicurarla, poi mi avvicinai a lei e le stampai un bacio sulla testa bagnata.
«Devo andare al giornale, tu fai quello che vuoi. Sei a casa tua.
«Ci vediamo più tardi. Porto io da mangiare.»
Lei mi seguii con lo sguardo mentre indossavo il giubbino e uscivo di casa.
Il tonfo della porta che si chiudeva alle mie spalle suggellò come a teatro la chiusura di quella scena.
«Buon giorno dottore.»
«Buon giorno signora Caruso.
Ma come fa a essere pronta ad aprire la porta non appena esco?
È un fenomeno della natura!»
«Come sta la sua amichetta?»
«Bene, grazie. L’ho accompagnata a casa.»
«Strano, non ho sentito la porta aprirsi, stanotte o stamattina.»
«L’ho buttata dalla finestra, signora! Per non darle fastidio!»
«È sempre molto spiritoso, professore, sempre tanto spiritoso. Buona giornata!»
«Buona giornata a lei Signora Caruso.»
La vecchia befana chiuse la porta che emise il suo abituale caratteristico tonfo.
E io, con la mia solita andatura da cavallerizzo al galoppo, affrontai i quattro piani di scale.
Presi la mia Panda nella quale la macchia di sangue sul sedile posteriore testimoniava che tutto quello che era successo era concreto e reale.
Via Vittorio Emanuele si srotolava sotto le ruote della mia utilitaria, ma non riuscivo a togliermi dalla mente gli occhi di Natalina. Il suo viso. Le sue labbra.
Ma porca miseria, che cosa mi stava succedendo?!

Continua…

Foto: interpretaresogni.com


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