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Costume e SocietàLetteratura

La relazione tra il contrabbando e l’IVA all’importazione

Breve storia giuridica del contrabbando XXI


Edil Merici

Di Agostino Giovinazzo

L’articolo 70, comma 1 del Decreto del Presidente della Repubblica nº 633 del 26 ottobre 1972, con riguardo all’Imposta sul Valore Aggiunto all’importazione, dispone che:

L’imposta relativa alle importazioni è accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione. Si applicano, per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine.

Sotto il profilo sanzionatorio qui di nostro interesse, la norma sembrerebbe rinviare implicitamente al DPR nº 43 del 23 gennaio 1973 e, quindi alle disposizioni inerenti al contrabbando.
In merito occorre, però, sin da ora, precisare che è una questione tutt’altro che pacifica che la sottrazione di una merce al pagamento dell’IVA all’importazione possa qualificarsi come contrabbando, tanto in giurisprudenza, quanto in dottrina.
Si discute, infatti, sulla classificazione dell’IVA all’importazione come diritto doganale o un diritto di confine e se la stessa abbia o meno esclusiva natura di tributo interno.
Per affrontare dalla giusta angolatura e per dare una chiave di lettura selettiva dei diversi orientamenti giurisprudenziali che attualmente si avvicendano su tale tematica occorre, anzitutto, delimitare l’ambito di indagine, circostanziando il perimetro in cui la seguente analisi si svilupperà.
A tale scopo è utile rammentare che l’Agenzia delle Dogane ha diretta competenza sulle cosiddette:

  1. risorse proprie di pertinenza dell’Unione Europea;
  2. risorse interne confluenti direttamente nel bilancio dello Stato italiano.

Tale classificazione è individuabile nell’art. 34 del DPR nº 43/1973 del Testo Unico della Legge Doganale), norma che definisce i diritti doganali, individuandoli in tutti quei diritti che la dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge e in relazione alle operazioni doganali.
Ne deriva, quindi, che i diritti doganali presentano due tratti distintivi ben marcati:

  1. sono prestazioni pecuniarie imposte dalla legge;
  2. si ricollegano alla realizzazione di fatti, non sempre costitutivi di fattispecie tributarie, ma comunque rilevanti come operazione doganale, da intendere quale attività rientrante in senso lato nelle attribuzioni della dogana.

Nell’ambito dei diritti doganali, a norma dell’art. 34 del DPR nº 43/1973, costituiscono, poi, diritti di confine i dazi di importazione, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione e, inoltre, per quanto concerne le merci in importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine e ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato.
Dal solo dato letterale appare dunque chiaro che i diritti di confine rappresentano una species del genus dei diritti doganali, pur avendo funzioni differenti. Difatti, la riscossione dei diritti di confine pone la merce in posizione di libera pratica comunitaria, mentre la riscossione dei diritti doganali tende a nazionalizzare la merce estera, con il meccanismo dell’importazione.
Ciò precisato, possiamo adesso analizzare con maggiore cognizione le due diversi posizioni giurisprudenziali sulla questione se l’evasione dell’IVA all’importazione possa assimilarsi a quella dell’IVA interna o a quella dei diritti di confine. Tale distinzione, lungi dall’essere un mero esercizio di accademico, ha un risvolto pratico di rilevante spessore, soprattutto con riferimento alle problematiche legate al concorso fra le fattispecie delittuose, nonché al cumulo delle somme evase ai fini dell’individuazione delle soglie di punibilità.
Ebbene, secondo un primo orientamento, l’IVA all’importazione avrebbe una natura (quanto a presupposti applicativi) tale da essere ricompresa tra i diritti di confine.
Seguendo tale arresto giurisprudenziale, l’evasione dell’IVA all’atto dell’importazione costituirebbe dunque sottrazione di materia imponibile a un diritto doganale di confine, configurando così il solo delitto di contrabbando e non anche quello di cui all’art. 70 del DPR nº 633/1972: nel caso di specie, non sarebbe quindi rintracciabile alcun concorso di reati.
Un secondo orientamento ha, invece, individuato nell’IVA all’importazione la natura di tributo interno, avente carattere unitario con l’IVA nazionale, e la cui la riscossione – per sole ragioni procedurali e di esazione – è affidata all’Agenzia delle Dogane, per quel che concerne le importazioni, e all’Agenzia delle Entrate per le operazioni domestiche e intracomunitarie.
La tesi della natura interna e unitaria dell’IVA ha, altresì, trovato asilo nella giurisprudenza eurounionale, la quale, con la storica sentenza Equoland, ha affermato il principio secondo cui l’IVA, anche se assolta in dogana all’atto di un’importazione, non perde la propria natura di imposta interna sui consumi.
Tale indirizzo giurisprudenziale conduce quindi alla conclusione che, in caso di evasione dell’IVA all’importazione, si integrerebbe un reato distinto e autonomo rispetto a quello di contrabbando, con tutte le ovvie conseguenze che ne derivano in tema di concorso e cumulo.

Foto: occhioallanotizia.it
Tratto da Contrabbando doganale e delitti in materia di accise, edito da Key editore, collana diretta da
Enzo Nobile.


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